Pressione alta e alimentazione: non dipende solo dal sale.

Quando si parla di ipertensione, il pensiero corre subito veloce al sale: come eliminarlo, come ridurlo, come sostituirlo… ed è vero, un eccesso di sodio nella dieta è una delle principali cause dell’aumento della pressione arteriosa e, di conseguenza, del rischio cardiovascolare.

L’errore che non dobbiamo fare, però, è fermarci a questo perché si rischia di trascurare una visione più ampia e utile: l’ipertensione non è solo il risultato di quanto sodio consumiamo, ma anche di ciò che manca nella nostra alimentazione quotidiana.

La dieta, però, può diventare un ottimo strumento terapeutico capace non solo di ridurre i valori pressori, ma anche di proteggere cuore, reni e cervello dai danni a lungo termine… ma, per farlo, bisogna riconoscere i meccanismi coinvolti e agire in modo mirato, andando oltre i consigli generici.

L’ipertensione è la manifestazione visibile di un equilibrio interno che si spezza: infiammazione cronica, rigidità delle pareti arteriose, stress ossidativo, carenze nutrizionali e squilibri ormonali; non a caso, infatti, viene spesso definita “killer silenzioso” visto che non dà sintomi evidenti fino quando non è troppo tardi.

Una delle dinamiche più sottovalutate, riguarda il ruolo del potassio, un minerale fondamentale nella regolazione della pressione, visto che agisce in equilibrio con il sodio aiutando l’organismo ad eliminarne l’eccesso attraverso le urine. Se nella dieta manca il potassio, come spesso accade quando non si consuma verdura a sufficienza, anche poche quantità di sodio possono diventare problematiche.

Uno studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha evidenziato proprio come un aumento di potassio nella dieta, combinato a una riduzione di sodio, può avere un effetto più significativo nella riduzione della pressione rispetto alla sola restrizione del sodio: questo ci ribadisce nuovamente quanto la qualità complessiva della dieta, piuttosto che le singole quantità, contino più del singolo ingrediente eliminato.

Per abbassare la pressione, e mantenerla stabile nel tempo, l’approccio non può essere solo togliere ciò che è dannoso, ma piuttosto costruire ciò che è protettivo, aumentando l’assunzione di alimenti ricchi di potassio, magnesio, fibre solubili e polifenoli.

Frutta e verdura fresche, legumi, quinoa, cereali integrali, frutta secca e semi oleosi rappresentano dei validissimi alleati in tutto questo.

Il magnesio, ad esempio, ha un’azione rilassante sulla muscolatura dei vasi sanguigni e favorisce la regolazione dell’equilibrio elettrolitico. È stato proprio dimostrato come la carenza di magnesio sia associata a un aumentato rischio di ipertensione e sindrome metabolica. Uno studio, pubblicato su Hypertension, ha evidenziato che l’integrazione di questo minerale, nei soggetti ipertesi, porta a una riduzione significativa dei valori pressori, anche in assenza di farmaci.

Non meno importanti sono i nitrati naturali contenuti in alcune verdure, come barbabietole, rucola e spinaci che, una volta ingeriti, si trasformano in ossido nitrico, una sostanza vasodilatatrice che favorisce il rilassamento delle pareti arteriose e migliora la circolazione.

Anche in questo caso gli effetti sono misurabili: diverse ricerche hanno osservato riduzioni della pressione sistolica già dopo pochi giorni di consumo regolare di barbabietola.

Anche le fibre giocano un ruolo chiave: non solo contribuiscono alla salute e al benessere intestinale (in collegamento con il sistema cardiovascolare), ma riducono anche l’assorbimento di zuccheri e grassi, prevenendo picchi glicemici e accumuli lipidici che danneggiano le pareti vascolari.

Quando la dieta è sbilanciata da anni, o sono presenti determinate condizioni che riducono l’assorbimento intestinale, può essere utile intervenire (sempre sotto guida del proprio nutrizionista di fiducia, dopo un’accurata valutazione clinica e biochimica) con una supplementazione mirata a base di magnesio (in forma bisglicinata o citrato), potassio, Omega-3 e vitamina D.

È importante non aggiungere integratori a caso, o per sentito dire, ma comprendere quali meccanismi sono coinvolti e intervenire con precisione, perché l’integrazione, quando ben progettata e calibrata, può fare una enorme differenza.

Nel Metodo Colombo, l’approccio a ogni problematica non si limita solo alla conta degli alimenti o alla riduzione di determinati nutrienti: ogni piano nutrizionale parte da un’analisi precisa della situazione individuale: stile di vita, analisi ematiche, analisi del microbiota intestinale, monitoraggio della qualità del sonno e dei valori di variabilità cardiaca (HRV), in modo da avere un quadro chiaro e poter agire minuziosamente, ricercando il giusto equilibrio.

Un equilibrio che sarà ricostruito su più versanti, come la regolazione ormonale e la riduzione dello stato infiammatorio, non in un’ottica restrittiva ma rigenerativa, orientata al recupero del benessere e alla stabilità metabolica nel lungo termine.

Prendersi cura di sé significa dare al corpo i giusti strumenti per tornare in equilibrio, senza diete punitive o rimedi improvvisati; serve un percorso consapevole, cucito su misura, in grado di rimettere in moto quei meccanismi che, con il tempo, si sono inceppati.

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