Vitamina D, sistema immunitario e Coronavirus

In questi giorni, si fa un gran parlare della vitamina D in quanto implicata nella risposta del sistema immunitario.

Secondo una ricerca dell’Università di Harvard, la sua carenza riguarderebbe circa un miliardo di persone nel mondo; i valori normali sono attualmente compresi fra i 75 ed i 100 nmol/L di sangue: quando questo valore scende, andiamo incontro ad una carenza.

La vitamina D viene sintetizzata dalla cute tramite esposizione al sole: durante l’inverno, i livelli di Colecalciferolo (la sua forma attiva) si riducono drasticamente sia per la diminuzione dell’irradiazione solare che per l’esaurimento delle riserve che vengono accumulate durante i mesi estivi: anche per questo motivo esiste un maggior rischio di carenza e di predisposizione alle infezioni durante il periodo dicembre – marzo.

Con le limitazioni attuali, non potendo uscire, i livelli diminuiranno ulteriormente per la totale assenza di esposizione al sole.

Sappiamo che si tratta di una vitamina molto importante per la salute delle ossa e dei denti, ma di recente, uno studio giapponese, pubblicato sulla rivista Clinical Nutrition, ha dimostrato che le persone con valori adeguati di vitamina D si ammalano più raramente di chi ha livelli bassi: pensate che, parlando di raffreddore, la supplementazione di questa vitamina ha ridotto del 40% il rischio di ammalarsi.

Un altro studio, condotto su 11.321 persone provenienti da 14 paesi diversi, ha dimostrato che la supplementazione di vitamina D permette una diminuzione del rischio di infezioni respiratorie acute sia nelle persone carenti che in quelle con livelli normali prima dell’infezione; nello specifico, si parla di una riduzione del 12%.

Una supplementazione costante di piccole dosi ha dimostrato maggiore efficacia rispetto ad una in dosi massicce per breve tempo, per questo consiglio di agire in ottica preventiva con una supplementazione moderata, ma costante, durante i periodi autunnali ed invernali.

Anche un recente studio svizzero ha confermato la sua implicazione nell’aiuto al sistema immunitario, dimostrando che molte cellule dell’organismo, responsabili della difesa dalle infezioni, possiedono un ricettore specifico per la vitamina D.

La supplementazione di vitamina D si è rivelata valida anche nel ridurre la mortalità nelle persone anziane a rischio di sviluppare malattie respiratorie (come l’infezione da Covid-19, meglio conosciuto come Coronavirus). Non esiste ancora un’evidenza scientifica circa la sua azione preventiva nei confronti di questo specifico virus ma è stato dimostrato che una condizione di ipovitaminosi D può aumentare la possibilità di contrarre infezioni che vanno ad agire sul sistema immunitario.

Uno studio dell’università di Torino, inoltre, ha evidenziato il ruolo attivo del Calcitriolo (la forma attiva della vitamina D) nella prevenzione e nella risposta a virus che colpiscono le vie respiratorie provocando polmonite, evidenziando come livelli ottimali di vitamina D permettano di rispondere meglio all’attacco grazie al ruolo attivo nella modulazione della risposta immunitaria.

I dati raccolti, inoltre, hanno evidenziato che la maggior parte dei pazienti ricoverati per polmonite presentava ipovitaminosi D; anche in relazione al coronavirus, è emerso che i pazienti ricoverati in terapia intensiva ne presentavano livelli insufficienti.

La sua azione deriva dalla capacità di incrementare i peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine) che hanno attività antivirale ed immuno-modulatoria. Anche dei test di laboratorio, effettuati sui ratti, hanno dimostrato l’efficacia del Calcitriolo nella riduzione del danno polmonare acuto.

Per questo, è opportuno parlarne con uno specialista per valutare l’eventuale necessità di integrazione, dopo averne controllato i valori.

 

*** Aggiornamento novembre 2021 ***

Ad un anno e mezzo dalla pubblicazione del mio articolo, posso dire che si sono susseguiti numerosi studi sulla correlazione tra vitamina D e complicazioni da Coronavirus. Per esempio, un grosso studio basato su un campione di 8297 inglesi ha evidenziato come un utilizzo abituale di integratori di vitamina D potesse essere associato ad un rischio inferiore del 34% di infezione.

Inoltre, un approfondimento sul tema ha dimostrato una riduzione fino a 20 volte del rischio di evoluzioni dall’esito critico (pericolo di vita) in chi aveva livelli ottimali di questa vitamina.

Dai dati emersi, risulta come una percentuale elevatissima (99%) di pazienti affetti da carenza di vitamina D sia deceduto in seguito alle complicazioni innescate dal virus mentre solo il 4% tra chi ne aveva a sufficienza ha riportato questa spiacevole conseguenza.

Le buone notizie, però, non finiscono qui: un’ulteriore ricerca dimostra come possa essere utile anche in caso di contagio per evitare l’ospedalizzazione. Nello specifico, i pazienti che ne hanno assunte elevate dosi (sino al raggiungimento dei valori ottimali) nelle prime due settimane di contagio, hanno ridotto drasticamente la possibilità di insorgenza di complicazioni ed il successivo ricovero in ospedale.

La diagnosi di ipovitaminosi avviene tramite esame ematico.

Per poter assimilare al meglio questa vitamina, si consiglia un’associazione con la vitamina K (naftochinone) che si trova, principalmente, nelle verdure a foglie verdi.

Se volete parlarne di persona, o se volete approfondire la tematica, potete fissare un appuntamento cliccando su questo link.


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